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1984: arriva Andrea Giavon. Dalla sua voce, la storia della crescita di Catas

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Andrea Giavon, il direttore del cinquantesimo....

L’incontro con Andrea Giavon, classe 1957, per questa “storia informale” di Catas avviene a Lissone nella sede di Catas Brianza. Un profumo, un segnale preciso che per quanto il cuore resti friulano e la testa world oriented, il corpo è oramai fatto di due parti diverse ma uguali: il laboratorio di San Giovanni al Natisone e quello della capitale del mobile brianzolo. In attesa, chissà, che altri si aggiungano nel prossimo mezzo secolo…

Credo di essere attualmente il più vecchio dipendente di Catas, uno dei primi a essere stato assunto, nel 1984. Eravamo davvero in pochi rispetto a oggi: Angelo Speranza, Renato Cavassi, il chimico Piero Anichini, una segretaria e una ragioniera assunta da poco. Ho risposto a un annuncio su un giornale: cercavano un chimico, la sede di lavoro era San Giovanni e per me – che abitavo e abito a nord di Udine e lavoravo a Venezia – era decisamente una opportunità allettante… devo dire che all’inizio ci fu qualche titubanza, perché avevo un contratto con Ispra, l’Istituto superiore per la ricerca ambientale, una importante realtà che allora si occupava non solo di ricerca nel nucleare, ma anche di chimica ambientale, e pensavano che per me sarebbe stata una sorta di “rinuncia”. Io, invece, non lo consideravo certo undown-grading, anche perché avevo subito compreso che mi sarei ritrovato in un ambiente vivacissimo. Ero davvero entusiasta: potevo immergermi in un contesto completamente diverso e utilizzare tecniche che mi avrebbero riportato nel mondo che preferivo, da chimico analitico quale sono”.

Sono entrato in Catas quattordici anni dopo la fondazione ed era una realtà già consolidata, con forti legami con le imprese del “Triangolo della sedia”. Il laboratorio per le prove meccaniche era gestito da Cavassi e quello chimico da Anichini, che mi volle al suo fianco perché avevamo la stessa mentalità, la stessa formazione, per quanto lui si fosse laureato a Padova e io a Venezia. Speranza era sempre più coinvolto nella sottocommissione Uni “Metodi di prova” e c’era bisogno di aiuto: erano gli anni in cui – finalmente – le imprese cominciavano a dedicare la giusta attenzione alle prove sugli arredi e noi eravamo un laboratorio che godeva di una certa fama. Furono soprattutto i produttori di mobili per ufficio a rivolgersi a noi, alla ricerca di uno strumento per rivendicare la loro specificità, per staccarsi da quanti producevano “un po’ di tutto” e affrontare con il giusto biglietto da visita commesse sempre più rilevanti e regolate da precisi requisiti”.

Il laboratorio chimico cominciò a crescere sia per attrezzature che per numero di clienti: arrivò il primo infrarosso e un nuovo gascomatografo, che ci permise di lavorare in modo più accurato sui solventi.
Nello stesso periodo cominciai a frequentare le prime riunioni dedicate a vernici e adesivi in Unichim, ente federato a Uni che si occupa di normazione nel settore della chimica. L’obiettivo era la ricerca di uno “stato dell’arte” per i prodotti utilizzati nell’industria del mobile per ufficio, un settore in piena crescita e nel quale l’Italia era in breve tempo diventato il punto di riferimento per tutti i grandi gruppi mondiali, anche per quelli di lunga tradizione. Erano anni in cui il mobile italiano nel suo insieme stava dimostrando al mondo tutte le proprie capacità e potenzialità, con quote di esportazione sempre più rilevanti.
Catas era una piccola realtà, in un angolo del Friuli, eppure stavamo dicendo la nostra su cosa volesse dire ripensare il posto di lavoro, quali dovessero essere le caratteristiche degli arredi, quali quelle dei materiali utilizzati… questo ci portò a tessere una serie di relazioni che contribuirono ad accelerare la nostra crescita, sotto ogni punto di vista.

E’ del 1989, se non ricordo male, la nascita del gruppo di lavoro sul mobile in ambito Cen, il comitato europeo di normazione, fortemente voluto da Uni ma anche da Francia e Germania: per noi significò iniziare a occuparci anche di altro, sederci al tavolo dove venivano decisi quali criteri le aziende dovessero rispettare perché i loro mobili fossero “a norma”, portando il nostro contributo e la nostra esperienza nei metodi di prova… il nostro pane quotidiano, ciò che facevamo ogni giorno.
Eravamo credibili e questa è sempre stata ed è tutt’oggi la nostra referenza più importante: ciò che dicevamo lo avevamo verificato nel corso degli anni, faceva parte della nostra storia, del nostro essere. Questo è sempre stato il nostro obiettivo: non avevamo “interessi paralleli” da sostenere, ma semplicemente una profonda e ricca esperienza da offrire ovunque fosse richiesta.
L’Italia del mobile, del resto, attraversava un periodo di splendore, sia dal punto di vista progettuale che produttivo, un fattore che certamente contribuì alla nostra autorevolezza, accelerando le nostre relazioni con i colleghi inglesi del Fira (Furniture Industry Reseach Association) o con i francesi del Ctba, il Centre tecnique du bois et de l’ameublement, e più in generale con l’industria europea.
Mi piace dire che in quegli anni abbiamo sia imparato che insegnato, condividendo competenze con i più importanti laboratori e istituti europei e internazionali: era l’inizio di un rapporto di profonda stima e rispetto, un fattore estremamente importante che qualche anno dopo ci portò a siglare documenti per il reciproco riconoscimento delle prove con molte realtà internazionali di primissimo piano”.

Nel frattempo, nel 1988, sono diventato responsabile del laboratorio chimico, impegno che ho passato qualche anno dopo a Franco Bulian per andare a dirigere il reparto delle prove meccaniche. Era un’altra cosa nuova e fu molto stimolante: d’altra parte mi è sempre piaciuto poter cambiare e ritenevo che un chimico potesse comunque avventurarsi in un campo così “diverso”. In effetti mi si è aperto un mondo. E c’era una sfida importante, perché tutte le norme sul mobile erano ormai state definite e la domanda sempre più forte di prove imponeva di renderne l’esecuzione il più possibile “automatizzata”, così da dare risposte ai nostri clienti in tempi più brevi, pur mantenendo sempre in primo piano i nostri standard di accuratezza.
La collaborazione con le Officine Poian a San Pier d’Isonzo, che da tempo costruivano le nostre “macchine da prova”, si fece ancora più intensa. Il titolare era un autentico genio: faceva i disegni sulla carta millimetrata a mano libera ed era un partner estremamente ricercato da clienti importanti – esattamente come oggi – nel campo della meccanica di precisione. Anche con Mac Friuli e Promac, altri due nostri preziosi fornitori, i rapporti si fecero più intensi… è sempre stata una peculiarità del nostro territorio il poter vantare alcune eccellenze assolute, non solo nella meccanica. Realtà alle quali ponevi un problema e subito trovavano la soluzione ideale, per noi una risorsa dal valore incalcolabile, perché molte attrezzature di prova sono state ideate da noi e avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse a costruire le più complesse, macchine che abbiamo poi realizzato anche per diversi nostri clienti che, aldilà dei nostri rapporti di prova, avevano ed hanno bisogno di poter effettuare dei test direttamente nelle loro sedi”.

Un territorio fertile di idee, di capacità, di competenze: al centro la sedia, un bene che dalle nostre parti era non solo di casa, ma il cuore di un vero e proprio distretto economico di grande rilevanza. Un sistema industriale e “sociologico” di cui noi di Catas eravamo parte a pieno titolo, ma che negli anni Novanta iniziò a cambiare: molte realtà erano cresciute in modo esponenziale senza però rendersi conto che ciò significava confrontarsi con il mondo, essere pronti a nuove sfide, accettare nuove scommesse.

Una certa parte della imprenditoria friulana era probabilmente meno “affamata” che nei decenni precedenti e si sedette sugli allori. Il “Triangolo della sedia” cominciò così a perdere terreno e la nostra attività si spostò sempre più verso il mobile. Non fu un periodo semplice, fino a quando Ikea – da tempo nostro cliente – decise di ridurre il numero dei laboratori con cui aveva rapporti. Noi rimanemmo nel novero dei loro “punti di riferimento” e vedemmo crescere il nostro impegno, al punto che il colosso svedese diventò un nostro importante cliente. Nel frattempo avevamo cominciato a effettuare test anche sul pannello, a lavorare sul tema delle emissioni di formaldeide, e questo fu un biglietto da visita molto importante anche per gli svedesi”.

Siamo nati come azienda speciale, poi siamo diventati una srl e in tempi ancora più recenti una società per azioni: abbiamo sempre pensato e agito come una impresa, avendo ben chiaro il dovere di saper esprimere competenza e fare reddito.
Questo concetto era in cima alla lista dei miei pensieri quando sono diventato direttore di Catas nel 2007: l’ingegner Speranza aveva raggiunto i 65 anni di età e la pensione, pur rimanendo come amministratore delegato, perché a quel tempo la legislazione lo permetteva.

Diventare direttore mi ha tenuto occupato su diversi versanti, come è naturale che sia: da un lato ci siamo “strutturati” per rispondere alle specifiche necessità di una realtà come Ikea, dall’altra abbiamo messo in campo molti e interessanti rapporti oltreconfine. Devo dire che la internazionalizzazione di Catas è sempre stato uno dei miei obbiettivi prioritari, così come il portare tutta la struttura a ragionare in termini diversi, meno “localistici”. Lavorare con l’estero ci ha fatto riconsiderare la normazione come attività strategica, oltre che necessaria, perché ci permette di essere parte di un “sistema” di relazioni importanti, grazie alle quali possiamo esprimere la nostra competenza ad alto livello e, magari, trovare anche qualche nuovo cliente!

L’attenzione che oggi Catas dimostra verso le attività degli enti normatori non è certo un mio merito: ho solo fatto la mia parte nell’indicare la strada e, fortunatamente, abbiamo subito trovato una risposta efficace in molte persone che erano sulla stessa lunghezza d’onda. Oggi alcuni reparti di Catas lavorano al 90 per cento con clienti stranieri e per molti di noi i confini non esistono più”.

Lissone è stata un’altra sfida per noi molto importante. Abbiamo di fatto ridato vigore a una esperienza fortemente voluta in Brianza, un laboratorio di prove a servizio del distretto che, per diverse ragioni, non ebbe il successo sperato e nel 1994 divenne parte di Catas. FederlegnoArredo, titolare del laboratorio, entrò così nella nostra compagine societaria, diventando il secondo socio di maggioranza, alle spalle della sola Camera di commercio di Udine, di fatto “fondatrice” della nostra storia.
Abbiamo ristrutturato gli spazi, investito in nuove attrezzature, assunto persone competenti per integrare Catas Brianza nelle nostre strategie, spostando a Lissone alcune attività, ottimizzandone altre, cominciando a lavorare – nei primi anni del Duemila – nel settore dei dispositivi medici, una scelta che ci ha permesso di dare a Lissone ulteriore visibilità”.

Sono di fatto il direttore del cinquantesimo, nel senso che questo anniversario ricorre durante il mio mandato, ma devo dire che sto pensando da tempo ai prossimi cinquanta più che a quelli trascorsi.
Ciò non toglie che sia un momento in cui sia inevitabile fare qualche riflessione, tirare una somma… la prima sfida che credo Catas abbia vinto è quella dei giovani: abbiamo sempre fatto tutto il possibile perché a livello di pensiero, di atteggiamento culturale e di approccio ci fosse e ci sia una indispensabile “profondità”. Conosco molte realtà in giro per il mondo e troppo spesso ho la sensazione che si vada avanti quasi per inerzia: per Catas non è e non dovrà mai essere così. Dobbiamo ricercare e sostenere sempre quello che definirei un “approfondimento culturale”, sviluppare conoscenze, linguaggi e relazioni con il massimo impegno. E i giovani che entrano in Catas devono crescere con questa priorità assoluta, a mio avviso l’elemento che ci ha sempre contraddistinto e ci ha permesso di diventare ciò che siamo oggi, di festeggiare i cinquant’anni di attività.
I “grandi clienti” internazionali ci riconoscono per questo, ci cercano per questo: non abbiamo altre armi per confrontarci con i grandi “global player” del test e della certificazione, realtà con migliaia di dipendenti e fatturati stellari: noi dobbiamo disporre di una sempre più forte competenza ed essere capaci di esprimerla, di comunicarla in ogni atto, in tutte le situazioni”.

Non posso non accennare al “fattore dimensione”. Essere “piccoli” ci accomuna a tante altre realtà, come la nostra sempre più “coinvolte” nel confronto con i laboratori multinazionali. Penso alle tante realtà iperspecializzate che non vogliono, non riescono a pensare al loro futuro come un’onda nell’oceano delle grandi realtà. Dobbiamo essere pragmatici e veloci, comprendere al più presto che tutti noi, insieme, dobbiamo mettere in comune qualcosa, lavorare in qualche modo insieme”.

Siamo chiamati a tante sfide: la terza revisione delle norme europee che ci riguardano portano in primo piano, come per molti altri settori, il tema della sostenibilità. Sarà un terreno sul quale misurarci, imparando a tradurre il consumo in una politica di attenzione verso le risorse, per un bilancio ambientale positivo. Non basta più pensare a quanto costa progettare, produrre e vendere un mobile, ma si dovrà lavorare su quanto costa un mobile in tutto il suo ciclo di vita, fino alla sua distruzione, dando come prerequisiti irrinunciabili che sia durevole, sicuro e “inclusivo”, nel senso che tutti se ne possano servire”.

C’è un’altra sfida a cui tengo particolarmente e che di fatto abbiamo già vinto, ovvero inaugurare i secondi cinquant’anni con il nuovo Laboratorio mobili. Come disse qualcuno, “la vita non è sempre gentile” e per noi ha significato un incendio che a fine 2016 ha distrutto il nostro “vecchio” laboratorio per le prove meccaniche sugli arredi. Ebbene, questo evento così drammatico ci ha permesso di riconsiderare i nostri standard e capire che potevamo fare ancora meglio: il nostro nuovo laboratorio mobili, che inauguriamo nell’ottobre 2019, sarà “4.0”, che per noi non è solo una definizione sulla bocca di tutti, ma la concreta realizzazione di una visione diversa, di uno spazio cablato con cui lavorare in modo del tutto nuovo e che – ne sono certo – sarà il nostro nuovo standard.
E’ solo il primo passo, perchè anche noi dobbiamo essere sempre aggiornati, competitivi, al passo con i tempi, e i nuovi livelli tecnico-informatici del laboratorio che inaugureremo dovranno essere adottati ovunque nella nostra struttura, così da permetterci di organizzare il nostro lavoro per rispondere ancora meglio a quella che è la domanda di oggi”.

… se dovessi trovare un pensiero conclusivo, mettere in una scatola questi cinquant’anni per riporli in cima a uno scaffale ci metterei sopra una etichetta con scritto “La mia vita”.  Credo che così la pensino molti della “vecchia guardia”… il nostro migliore successo sarebbe che anche tutti i giovani arrivati in Catas in questi anni la pensassero allo stesso modo, che vogliano chiudere così la loro scatola dei prossimi cinquant’anni. Per me Catas è stata una importante esperienza di vita, forte, coinvolgente, qualche volta totalizzante… mi piacerebbe che tanti altri potessero vivere il loro percorso nel nostro laboratorio con intensità.

Forse è un pensiero troppo personale, me ne rendo conto. E allora facciamo che sulla etichetta scriviamo “Il mobile” e su quella dei prossimi cinquant’anni qualcuno scriverà “L’ambiente dove le persone vivono”. Noi abbiamo vissuto di mobili, soprattutto, compagni fondamentali della qualità della vita, ma è la biosfera, dove le persone vivono ciò che più conta e questa è la direzione che stiamo prendendo: Catas si occupa dell’ambiente di vita delle persone, di tutti i luoghi dove c’è attività antropologica… negli ultimi tempi abbiamo cominciato a occuparci anche di parchi gioco. Ecco: ci stiamo aprendo verso un orizzonte più ampio ed è questo il nostro dovere….”.