1995 - 1999. Roberto Lovato. Immaginando nuovi servizi...
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“Catas? Una idea splendida, portata avanti grazie alla lungimiranza di alcuni imprenditori e nata dall’impegno dell’ingegner Speranza. Le cose vanno avanti sulle gambe degli uomini e noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarne alcuni che avevano e hanno il senso della responsabilità sociale, civica… una sorta di spirito illuministico ottocentesco, se mi passa la definizione. Sono riusciti a trascinare oltre il baratro del nulla questa grande idea e a farne qualcosa di importante, di celebrato a livello internazionale. Aggiungo la fortuna che la politica non abbia deciso di “influire” in modo eccessivo nelle attività di Catas e questo è stato, a mio avviso, un gran bene…”.
Risponde senza esitazioni Roberto Lovato – imprenditore, presidente di Catas fra il 1995 e il 1999 – a chi gli chiede cosa gli viene in mente sentendo la parola “Catas”. Non solo non ha alcun dubbio sul valore di quella che oramai è una vera e propria istituzione, ma è convinto che si debba e possa fare sempre di più.
“Quando ne sono diventato presidente ero un imprenditore piuttosto noto, ma avevo soprattutto una buona dose di creatività. La molla che spinge gli imprenditori è il piacere di immaginare giocattoli nuovi, progettare cose nuove e realizzarle… qualcosa che va oltre il puro lucro. Eravamo convinti del valore di Catas e ognuno ci ha messo le proprie energie, la propria disponibilità. Credo che il mio merito sia stato l’impegno nel limitare i danni di certe “scelte esterne”, anche se non sono riuscito a realizzare tutto ciò che avrei voluto. In quegli anni dovevamo anche fare i conti con coloro che volevano un Catas all’interno di Promosedia, più “contenuto”, e io ho minacciato le mie dimissioni perché questo non accadesse e Catas potesse continuare a essere ciò che era e che doveva diventare”.
“Abbiamo perso qualche occasione? Certo, come il progetto di creare un corso di ingegneria del legno, una opportunità di formazione che in Italia, faro della produzione mondiale di arredi, non c’era. Avevamo predisposto tutto, dal programma di studi ai corsi, dagli insegnanti alla disponibilità dell’Università di Trieste, ma per sterili campanilismi non se ne è fatto nulla. Se avessimo avuto più tecnici, più figure professionalizzate pensa che il “Triangolo della sedia” sarebbe nelle attuali condizioni o avrebbe vissuto ciò che ha attraversato?
Ecco il mio rimpianto: Catas ha fatto moltissimo ma avrebbe potuto mettere a disposizione la propria competenza anche in altre attività, magari affiancando le aziende con una divisione “verifica e industrializzazione”. Oggi Catas testa prototipi, prodotti che stanno per arrivare sul mercato: pensi quale contributo potrebbe offrire a designer o ai responsabili di prodotto in fase di progettazione, di avvio della vita di una nuova sedia o di un nuovo tavolo, portando tutte le proprie conoscenze sugli aspetti più tecnici, sui punti più sollecitati, sulle cause più frequenti di rottura… un approccio qualitativo che permetterebbe di evitare moltissimi sprechi.
Penso a quando ci ritrovammo a ipotizzare un laboratorio di prova sugli imballaggi, visto che molte realtà erano fortemente orientate alla esportazione: in quegli anni non erano molti a richiedere questo tipo di supporto che oggi, per quanto ancora poco conosciuto, è un tema di rilevanza assoluta.
Non siamo stati abbastanza “coinvolgenti”? Non sapevamo comunicare nel modo giusto? Probabilmente. A distanza d’anni penso alle cose meravigliose che Catas ha fatto, al credito che ha saputo costruirsi in Friuli e nel mondo, ma non sono certo che gli imprenditori del territorio abbiano davvero compreso e fatto proprio il valore assoluto che Catas ha sempre espresso”.
“Gli imprenditori faticano a lavorare assieme, a ragionare in termini di collettività, per quanto una azienda vinca o perda la sua battaglia non da sola, ma insieme alle altre. Abbiamo fatto qualche iniziativa in tal senso, cercando un linguaggio comune… se l’imprenditore ha il tarlo della propria azienda non riesce a fare altro. Un po’ come essere presidente: anche se non ricopro più questo ruolo in Catas in modo operativo sarò sempre pronto a dare una mano, a lavorare insieme per costruire qualcosa... magari creando un comitato di “ex” disponibili a offrire la propria esperienza agli attuali vertici di Catas, nel caso ne abbiano bisogno…”.
“Ho un ricordo personale molto forte, ovvero l’orgoglio di mio padre nel mettere nel portafoglio un mio biglietto da visita da presidente di Catas. Un momento molto bello per un figlio, per quanto sia sempre stato ben consapevole di non avere grossi meriti e di non avere inciso profondamente come avrei voluto nelle attività del laboratorio: penso di avere fatto la mia parte, ben sapendo che Catas avesse una sorta di “vita propria”, una straordinaria “base” su cui lavorare: era un punto di riferimento a livello internazionale sotto molti aspetti e ci parve dunque conseguente che potessimo, dovessimo esportare le nostre competenze.
Nacque da qui l’esperienza di Catas Cile o l’ipotesi di un Catas Messico, ma purtroppo qualcosa non ha funzionato perché non tutti compresero il valore di un mondo che parla la stessa lingua, almeno dal punto di vista tecnico, della certificazione, pensando che avremmo potuto invece correre dei rischi, creando una concorrenza più forte. Se Catas avesse avuto la possibilità di disseminare in molti più Paesi la propria esperienza avrebbe certamente avuto un ruolo ancora più importante a livello di normazione e certificazione internazionale, con le positive ricadute sulla affidabilità tecnica del “made in Italy” che si possono facilmente immaginare.
L’avventura cilena fu comunque qualcosa di estremamente bello: riconoscevano all’Italia un ruolo di supremazia, un saper fare da cui iniziare la costruzione di una grande rete internazionale per la quale potevamo già contare su partner importanti… ma, lo ripeto, non tutti compresero le potenzialità, non tutti si accorsero che il mondo stava diventando ciò che oggi è, ovvero un luogo dove sono le relazioni a determinare buona parte del successo di una impresa”.
“Se oggi dovessi dare un consiglio a Catas sarebbe di mantenere al più alto livello l’impegno nel comunicare, nel farsi conoscere, nel dimostrare la propria importanza: senza relazioni il grande patrimonio di Catas non varrebbe nulla.
Credo sarebbe anche molto utile mettere in campo ogni possibile idea o energia per far sì che il nostro mestiere sia più ambito: abbiamo molto da condividere, da tramandare. Non basta conoscere le cose, bisogna anche saperle trasmettere e questo circolo virtuoso non sempre gira ben oliato… dovrebbe essere una consapevolezza soprattutto a livello politico, perché non si può pretendere che sia Catas a farsene carico: è una necessità collettiva, pertanto sarebbe bene che qualcuno attivasse una ancora più forte valorizzazione dell’immenso patrimonio che Catas rappresenta perchè sia sempre più diffuso, permeante, accessibile.
Insisto: ancora oggi non sono sicuro, esattamente come quando ne ero il presidente, che a livello politico ci sia la consapevolezza del “patrimonio Catas” e che chi governa il nostro territorio debba andare oltre le parole e avviare le necessarie azioni per individuare gli strumenti per disseminare l’operato, le competenze, le relazioni che il laboratorio ha saputo creare nelle due sedi di San Giovanni e di Lissone. Stiamo vivendo un dramma generale di cui non molti sono consapevoli, ovvero la perdita generale di conoscenze approfondite, oramai depauperata a livelli tragici. Creare attorno a Catas un circolo virtuoso sarebbe un investimento formidabile per il futuro del nostro territorio, delle nostre imprese e soprattutto dei nostri giovani…
E poi non dimentichiamoci che abbiamo la fortuna di vivere un mondo in rapido e continuo cambiamento e che a realtà come Catas spetta il compito di immaginare i servizi che la comunità chiederà nel prossimo futuro”.