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1971-1986: la squadra Catas prende forma

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I primi tecnici arrivati

E’ un sabato mattina in Catas. C’è un anniversario importante da festeggiare, una storia da provare a ricostruire non solo con documenti ufficiali, ma anche chiacchierando con alcuni di quanti hanno lavorato in queste stanze, che hanno vissuto le “prime stagioni” e che sono in qualche modo un “pezzo di Catas”. Come Renato Cavassi, classe 1952, di fatto il primo dipendente di Catas, che oggi si gode la meritata pensione, anche se capita spesso di vederlo in Via Antica…
 
Ho studiato all’Ipsia Marangoni in piazza di San Giovanni al Natisone, dove Catas è nato, per cui abbiamo delle radici comuni, in qualche modo. Ricordo un ufficio, una specie di “gabbiotto” dove c’era il dinamometro, di proprietà della scuola, e un piccolo laboratorio in un’altra stanza al piano di sopra. Questo era allora il Catas.
Ci arrivai dopo qualche anno in fabbrica, quando venni a sapere dal sig. Toffoloni, ex direttore della mia scuola che ero andato a trovare, che l’ingegner Angelo Speranza stava lavorando a un progetto e stava cercando un tecnico. L’ho cercato e ci siamo parlati: si ricordava di me dai giorni di scuola, abbiamo parlato e abbiamo iniziato a lavorare insieme appena arrivato l’approvazione per la mia assunzione dalla Camera di commercio.
Era l’1 ottobre 1971 quando sono diventato ufficialmente un dipendente di Catas.
Fu un cambio epocale, basti pensare che le prime prove venivano fatte dagli studenti della scuola mentre Speranza prendeva nota con una penna e calcolava i valori medi.
Ricordo il primo lavoro importante: andai ad acquistare quattordici collanti, quelli che si trovavano comunemente in tutte le botteghe di chi faceva sedie. Abbiamo fatto tutta una serie di prove per verificare le loro caratteristiche… ricordo che feci anche alcune analisi chimiche, perché pur non essendo un chimico non c’era nessun altro che se ne potesse occupare fino a quando non venne assunto qualcuno che avesse precise competenze professionali in materia.
Incollavamo i blocchetti di legno e ne verificavamo la tenuta a precisi intervalli di tempo, fino a due anni: non c’era modo di simulare il passare del tempo. Alla fine presentammo i risultati in un incontro molto affollato e la reazione fu di grande stupore: in molti cominciarono a pensare che bisognava prendere più sul serio il lavoro di Catas, altrimenti c’era il rischio che le loro sedie si sfasciassero e i clienti li abbandonassero!”.
 
Per diversi anni lavorai alle prove praticamente da solo: Il Catas eravamo io, una segretaria e l’ingegner Speranza. Fino al 1972 – quando arrivò il primo chimico, che rimase con noi per tre anni: devo dire che inizialmente i chimici andavano e venivano, ne ricordo almeno tre nella prima “stagione”. Anche quella del laboratorio chimico è stata una “visione” in cui, evidentemente, non molti credevano all’inizio… mentre oggi nel reparto chimico del Catas lavorano una ventina di persone.
Ridendo e scherzando erano già passati dieci anni: l’ingegnere si dava sempre da fare per coinvolgere produttori e artigiani organizzando corsi, incontri, occasioni di aggiornamento, presentazioni di nuovi prodotti e di nuove macchine… in qualche modo facevamo formazione, prima nei locali della scuola poi nella nuova sede, ma anche in giro per il Friuli, in Carnia o nel Veneto; sempre a far convegni, a presentare prove per farci conoscere dagli artigiani, dalle imprese, dalle loro associazioni… e siamo andati avanti così per molti anni”.
 
Una prova, allora, costava diecimila lire, ma qualche volta la facevamo gratis, perché era un modo per imparare; molto spesso ci siamo letteralmente inventati cosa fare per capire se una sedia era fatta bene o meno, se un prodotto funzionava, cercando ovunque di capire a quali norme potevamo fare riferimento, perchè non esisteva certo il sistema di oggi: utilizzavamo le Iso, qualche volta le Din tedesche… dobbiamo dire che la grande competenza che oggi Catas può vantare nacque così, da una sorta di “navigazione a vista” perché non c’era nessuno che poteva darci riferimenti certi. Eravamo dei pionieri.
Uno dei meriti di Speranza è certamente l’aver tenuto duro in quegli anni. Sono convinto che altri, al posto suo, avrebbero mollato, anche perché non era facile conquistare la fiducia dei produttori: non credevano in noi e ci sono voluti anni per avere qualche soddisfazione”.
 
Il giro di boa coincise con la nuova sede, dove ci trasferimmo nel 1981: abituati alavorare in due stanze, in mezzo al frastuono dei ragazzi che piallavano i loro pezzi di legno, essere in uno spazio tutto nostro era un sogno.
Le cose andavano meglio e il disporre di un certificato che attestasse la validità di una determinata sedia cominciava a essere importante. Iniziammo perfino a fare qualche pubblicità sui giornali. Avevamo le macchine per le prove meccaniche, ridipinte da verde in arancione, e le prime attrezzature per il laboratorio chimico che, giorno dopo giorno, venivano aumentate e migliorate.
Eravamo sulla strada giusta: avevamo una sede dignitosa, il territorio ha cominciato a capire cosa avevamo da offrire, arrivarono i primi clienti dal Venetoe grandi gruppi, come Fantoni o Snaidero. Questo ci fece comprendere che non c’era solo la sedia e il numero delle prove cominciò ad aumentare per varietà e quantità: stavamo crescendo e arrivarono nuovi collaboratori; ricordo che nel 1988 eravamo in otto, tre funzionari, due chimici e tre tecnici”.
 
Il tempo passa e al racconto di Renato Cavassi si aggiungono altre due voci, quella di Claudio Caon, classe 1962 e attuale responsabile della sezione Superfici di Catas, e di Franco Bulian, 1960, vicedirettore del laboratorio
 
Claudio Caon
Sono arrivato in Catas nel 1982– racconta Caon –dopo un breve periodo di tirocinio: erano ancora gli anni in cui viaggiavamo tutti insieme su una macchina per andare alle fiere o a visitare qualche azienda! Il periodo appena raccontato da Renato l’ho vissuto in prima persona: furono davvero anni di grande crescita per il laboratorio. Eravamo una azienda speciale della Camera di commercio di Udine, ma devo ammettere che non ce ne siamo mai resi conto, nel senso che abbiamo sempre lavorato come se fossimo un “normale” laboratorio: ricordo che in Camera di commercio ci andavamo a Natale, per mangiare una fetta di panettone e scambiarci gli auguri, ed era l’unica volta che percepivamo la presenza della istituzione e per motivi non certo legati alla gestione di Catas! Di questo credo vada dato merito alla gestione dell’allora presidente Gianni Bravo”.
 
La crescita degli anni Ottanta ci ha convinto che era venuto il momento di organizzarci meglio, di stabilire delle funzioni ben precise: fino a quel momento c’era stato solo Angelo Speranza con compiti di direzione e di coordinamento, poi venne creata una sorta di “piramide funzionale”, anche se a dire il vero eravamo solo una decina. I compiti, però, si erano differenziati e c’era bisogno di punti di riferimento specifici: Giovanni Granzotto era il presidente di consiglio di amministrazione, Angelo Speranza il direttore, Andrea Giavon il vicedirettore e responsabile del laboratorio meccanico, Franco Prete del Laboratorio fuoco, Franco Bulian del Laboratorio chimico.
La fine degli anni Ottanta vide anche l’adozione di sistemi informatici complessi: siamo passati dallo scrivere a penna i nostri appunti sui risultati delle prove, che una segretaria batteva poi a macchina e spediva a ogni singolo cliente, al comunicare attraverso una serie di terminali che avevamo sulla scrivania. Prima c’era qualche “Commodore” negli uffici, ma fu fra il 1988 e il 1989 che creammo una vera rete informatica.
C’era una stampante sola, in corridoio, e due telefoni, uno in segreteria e uno in direzione, nell’ufficio di Speranza. Installammo un terzo apparecchio per i laboratori, ma speravamo sempre che non suonasse, perchè ogni volta bisognava correre da una parte all’altra della palazzina a cercare la persona con cui il nostro interlocutore voleva parlare.
Il bisogno, come si sa, aguzza l’ingegno e inventammo il nostro “cercapersone”, ovvero un campanello che veniva suonato una volta se la chiamata era per me, due per Cavassi, tre per Giavon e così via. Qualche volta capitava che l’interessato non sentisse il campanello e che la cornetta restasse appoggiata sulla scrivania anche per diversi minuti, così che il cliente rimaneva in attesa e sentiva tutto quello che facevamo o dicevamo…”.
 
Ricordo molto bene quelle situazioni”, interviene Franco Bulian. “Il mio ricordo più intenso, però, risale proprio ai primi mesi in Catas. Sono arrivato nel 1987 e la prima cosa che mi fecero fare, e non solo una volta, era chiamarmi in laboratorio per spostare dei sacchi, dei pesi con cui si facevano le prove sui mobili; si imparava molto anche da queste piccole cose.
Ricordo anch’io il panettone alla Camera di commercio e gli elogi del presidente Bravo, come ricordo con soddisfazione che agli inizi degli anni Novanta – quando ancora eravamo in pochi, forse una decina – eravamo diventati autonomi anche dal punto di vista finanziario.
Il 1991fu un anno da ricordare, perché arrivò il riconoscimento da parte del Sinal, oggi Accredia, ovvero il sistema nazionale accreditamento laboratori: è stato il momento in cui Catas è diventato un laboratorio riconosciuto, il numero 27 in Italia, un piccolo primato se consideriamo che apparteniamo al mondo del legno-arredo…”.
 
Franco Bulian oggi riveste anche il ruolo di responsabile marketing di Catas, funzione alla quale il consiglio di amministrazione lo ha chiamato quattroanni fa, ed è naturale che questo tema gli stia particolarmente a cuore: “In quegli anni abbiamo organizzato un numero crescente di corsi e seminari, strumenti che ci consentivano di mantenere un contatto personale con i clienti su un piano diverso, arrivando a coinvolgere anche chi non ci conosceva. Era, in fondo, il nostro modo di fare marketing, di cercare di farci conoscere a un pubblico di operatori più numeroso.
Crediamo da sempre che il “nostro marketing” debba essere il far conoscere quello che siamo e quello che facciamo, per cui oltre ai seminari abbiamo pensato di metterci a scrivere: nacque così il “Tariffario Catas” che, di fatto, era non solo un listino dei prezzi delle nostre prove, ma anche un modo per far sapere a tutti quante cose potevamo fare e farci un po’ di pubblicità”.
 
Fu una stagione davvero splendida: le occasioni di lavoro fioccavano, gli artigiani diventavano industriali, i terzisti decidevano di affrontare il mercato con un proprio marchio, il “Triangolo della sedia” era al suo massimo splendore”, interviene Renato Cavassi. “La sede di Catas diventava sempre più grande e venivano assunti nuovi colleghi. Improvvisamente mi resi conto che avevo fatto bene ad accettare la sfida che mi aveva proposto Speranza vent’anni prima: c’era un distretto industriale che aveva bisogno di noi, delle nostre competenze, delle conoscenze che potevamo trasmettere loro, oltre che delle prove che potevamo fare nel nostro laboratorio.
Un circolo virtuoso che non ci colse alla sprovvista: noi eravamo pronti, il mercato era pronto e abbiamo iniziato a crescere insieme”.
 
Per noi fu una autentica benedizione iniziare a lavorare seguendo ciò che veniva richiesto dal Provveditorato Generale dello Stato, che faceva capo al Ministero degli Interni, organismo deputato a tutti gli acquisti per la pubblica amministrazione. Erano gli anni del boom dei mobili per ufficio e il cliente più importante era proprio la pubblica amministrazione, per cui ci ritrovammo con camion e camion di sedie, scrivanie, armadi che dovevamo controllare rispondessero alle specifiche contenute nei capitolati del Provveditorato.
C’erano anche le “complicazioni”, se vogliamo definirle così, ovvero la nascita di altri laboratori, come noi concentrati in specifici segmenti: penso al Cert di Treviso  o al Cosmob di Pesaro…che in realtà abbiamo contribuito a far crescere in un’ottica di collaborazione che ancora si mantiene”.
 
Il 1994 fu un altro anno– interviene Franco Bulian– che segnò per noi una svolta epocale, perché diventammo una srl: a oco meno di venticinque dalla fondazione cambiavamo pelle e non eravamo più una azienda speciale della Camera di commercio di Udine, ma una “normale” società a cui facevano capo quei soci che ancora oggi sono nella compagine sociale.

Una operazione fatta, fra l’altro, in previsione della acquisizione del laboratorio CR&S di FederlegnoArredo a Lissone, oggi Catas Brianza. C’era molta curiosità ma anche un pizzico di preoccupazione attorno a questa vicenda, perché non eravamo economicamente forti come siamo oggi e la fusione con una realtà costituita da poco tempo non era certo rassicurante: si decise comunque di procedere e FederlegnoArredo entrò nel nostro capitale sociale, portando in dote la realtà di Lissone che richiese forti investimenti per essere “allineata” ai nostri standard”.
 
Non fu semplice”, aggiunge Claudio Caon. “Dovevamo confrontarci con una realtà con cui trovare una visione comune, parlare un linguaggio comune, condividere la nostra estrema e lunga specializzazione nel settore del legno-arredo da 400 chilometri di distanza.
Abbiamo preso tutti il coraggio a due mani e vissuto questa avventura, facendo ogni intervento necessario perchè le cose andassero nel miglior modo possibile. L’arrivo delle soluzioni per le videoconferenze, dopo qualche anno, ci permise di muoverci meglio: ricordo i consigli di amministrazione, durante i quali io mi occupavo appunto di queste tecnologie, con quattro consiglieri a San Giovanni e gli altri a Lissone…
Per lungo tempo la sede in Brianza non ha raggiunto l’indipendenza economica e questo ha indubbiamente influito sulla “squadra friulana”, ma alla fine le cose hanno cominciato a girare nel verso giusto e oggi Catas Brianza è un capitolo importante della nostra storia”.
 
Vorrei fare un passo indietro, se me lo consentite, fino al 1991, quando è iniziata la storia del Catas Quality Award che credo valga la pena di ricordare”, aggiunge Franco Bulian. “Si tratta di un certificato che attesta che un prodotto nel suo complesso è “adeguato”, corretto. Un salto importante per noi, perché siamo passati dalla singola prova, dal misurare e attestare che una determinata prestazione o caratteristica risponde alla normativa in materia al dire che un prodotto nel suo complesso risponde a un criterio di qualità e di validità della prestazione che deve offrire.
Se siamo arrivati a questo nuovo livello è perché le aziende hanno riconosciuto la nostra autorevolezza, chiedendoci un ulteriore passaggio nella direzione della certificazione della produzione di un bene.
Insomma: se Catas dice che va bene, allora questo è un buon prodotto e il mercato deve saperlo e riconoscerlo come un valore, un qualcosa che magari un prodotto analogo non ha. E’ stato un altro passaggio fondamentale, perché abbiamo compreso una volta di più di avere una responsabilità, un ruolo, una competenza che oramai aveva un valore assoluto in tutto il mondo: ricordo quella volta che qualcuno mi disse che in Germania – Paese che non è certamente secondo a nessuno in tema di qualità, di laboratori, di test… –  quando si trovavano di fronte a una nostra analisi sulle emissioni di formaldeide sapevano di poter stare tranquilli…”.
 
In fondo è stata questa competenza riconosciuta a livello internazionale che ci ha permesso di entrare nel novero dei laboratori riconosciuti da Ikea, precisa Claudio Caon. “Siamo entrati in punta di piedi, occupandoci dapprima dei test sulle superfici e ampliando a poco a poco il nostro raggio d’azione, dimostrando sempre la nostra competenza e la nostra disponibilità.
Credo di poter dire che per loro siamo stati e siamo anche dei “partner”, perché ci confrontiamo non solo sui risultati dei test, ma discutiamo delle possibili soluzioni a eventuali problemi o di cosa potrebbe essere ulteriormente migliorato: siamo sempre stati capaci di adattarci con responsabilità alle loro necessità”.
 
Siamo al fianco di molte aziende grandi e piccole e in qualche modo siamo una sorta di compagno di viaggio – aggiunge Franco Bulian. La sfida costante è per noi un valore che portiamo anche in altri territori: siamo internazionalmente riconosciuti come un centro d’eccellenza con un “sapere specialistico” molto alto, per cui spesso organizziamo o diamo supporto a corsi di formazione a qualunque livello, dalle aziende alle più prestigiose università nel mondo, oltre a sviluppare progetti di ricerca con istituti europei di primissimo piano.
Spero di non sembrare presuntuoso, ma siamo entrati nel “gotha” della ricerca applicata, in quello che definirei una lobby culturale e scientifica di livello superiore; anche sul versante della formazione, dei seminari, dei convegni, attività e responsabilità che negli ultimi anni sono diventate sempre più forti”.
 
 
SENSAZIONI, EMOZIONI…
 
Ma al di là degli episodi, dei fatti, degli avvenimenti, degli incontri, cosa rimane degli anni trascorsi? Quali i profumi che ancora si sentono nell’aria?
 
Renato Cavassi non ha dubbi: “Catas è diventata una grande realtà, non possiamo nascondercelo. Se penso alle due stanzette in piazza a San Giovanni, dove tutto è iniziato, non so se ridere o commuovermi. Catas oggi è un grande laboratorio, noto a livello mondiale; ha una grande sede, occupa tante persone: certamente rimpiango il clima, la passione, il cameratismo dei “nostri” anni, e i “vecchi” sanno di cosa parlo… ma saremmo cresciuti così tanto se tutto fosse rimasto come allora? E’ una domanda alla quale non so o forse non voglio rispondere…
Una cosa è certa: quando arriva una nuova attrezzatura mi chiamano, nonostante sia in pensione da oramai più di otto anni, e io corro a vederla, felice come un ragazzino. Dentro queste mura, oggi così belle, non ci sono solo macchine e attrezzature, ma anche un pezzo grande della mia vita, amici, persone con le quali ho condiviso moltissimo…”.
 
Sono assolutamente d’accordo”, aggiunge Claudio Caon. “Ricordo il piacere quando un cliente ci chiamava per dirci “grazie”: era una soddisfazione che forse oggi fa sorridere, ma ci rendeva assolutamente orgogliosi di noi stessi, delle nostre competenze, di essere parte di Catas.
Lo ammetto: quando ci hanno “divisi”, quando sono stati creati i diversi laboratori invece dell’unico stanzone dove tutti lavoravamo fianco a fianco, ci ho sofferto. Ricordo come se fosse oggi l’ingegner Speranza che mi chiedeva:“Claudio, dimmi quali attrezzature usi in condivisione con gli altri…” e io non capivo il senso della domanda. Quando mi ha spiegato che dovevamo creare laboratori diversi per i diversi campi in cui eravamo impegnati e che, dunque, certe attrezzature andavano comperate in più esemplari e sistemate in ciascun laboratorio, ci sono rimasto molto, molto male”.
 
Abbiamo vissuto i “tempi eroici” di Catas, Renato più di noi”, conclude Franco Bulian. “Abbiamo conosciuto il piacere di collaborare, una tensione che c’era agli inizi ma c’è ancora, anche se forse in modo diverso, perché Catas oggi è una cosa diversa.
Il confronto era continuo a non c’era giorno che Claudio, Renato e tanti altri non mi chiamassero per mostrarmi qualche novità o per scambiarci le nostre opinioni.
Credo che i nostri clienti percepissero anche questa “unione”, questo forte cameratismo che permetteva di rendere comuni le competenze di ciascuno, creando in modo empirico un universo del “saper fare” che ci ha portato molto lontano e che oggi è nostro dovere perpetuare in tutti coloro che lavorano in e per Catas. Le modalità devono certamente cambiare ma bisogna però cercare di mantenere lo stesso spirito fatto di passione, curiosità, emozioni…”.